19 aprile 2017


CIBO A REGOLA D’ARTE 2017
Evento organizzato da RCS che riflette davvero sul senso più profondo del cibo, come linguaggio e come immaginario, Regione Lombardia, che crede fortemente nel turismo come esperienza, partecipa attivamente schierando tutte le iniziative e i progetti che nell’Anno del Turismo hanno puntato su quella che è una delle grandi ricchezze della Regione.
                                                        SAPORE 
Un viaggio attraverso il gusto e il territorio di una Regione speciale. Chef stellati, prodotti tipici, itinerari del gusto, strade del vino. All’interno del progetto, nel calendario  delle iniziative è inserito il “ Piatto Maggese inLombardia ”,  realizzato in collaborazione con il giornalista enogastronomico Paolo Massobrio.   (http://sapore.in-lombardia.it/)

M
i è stato proposto di creare un piatto dedicato al mese di Maggio :  con ingredienti di stagione, naturalmente del territorio;  Regione Lombardia, terra di tradizioni ed eccellenze gastronomiche.



SOTTO IL SOLE DELLA LOMBARDIA
Piatto di Gio Pasta (giopastarte.blogspot.com)


Baccelli di pasta fresca, con ripieno di piselli di Miradolo terme e crescenza, crema di pomodori di Casalasco, funghi russule e capperi del Garda



Storia del piatto con la collaborazione Di Eugenio Medagliani, Umanista Calderaro


Raviolo – raviolone – raviuolo - tortello –  tortellino - agnellotto -  agnollotto- cappelletto –
Raviolo è un involucro di pasta con un ripieno di ingredienti diversi, in origine di ricotta e foglie di rapa, dalla quale prese il nome tramite la voce medioevale rabiola, derivata a sua volta dal latino rapa. Il “raviolo” appare per la prima volta con il nome di rabiola in un documento del 1243 come specialità cremonese, per poi diffondersi in molte regioni italiane.


Un giorno parlando con l’amico cuoco Giorgio Pasta gli chiesi se non ritenesse interessante dare ai ravioli la forma del principale ortaggio presente nel ripieno.
Lo trovai favorevolmente predisposto purché  io riuscissi a realizzare un tagliapasta idoneo a forma di baccello del pisello.
Ma cosa è il baccello ? : (dal latino bacillum, diminutivo di bàculum, bastoncello) è il frutto delle piante leguminose in forma allungata, a due valve, sui margini delle quali sono disposti i semi, come ad esempio nei fagioli e nei piselli ecc.
( curiosità: per i Toscani, il frutto della fava ancora verde – bacello, bacellone è uomo ignorante, sciocco, buono a nulla ! )
Uno degli stampi dei miei fantastici artigiani lattonieri ( f.lli. Bonacina) realizzarono  proprio la forma del bacello del pisello.
Con questo stampo Gio Pasta ha realizzato questo primo piatto:


Baccelli di pasta fresca, con ripieno di piselli di Miradolo terme e crescenza, crema di pomodori di Casalasco, funghi russule e capperi del Garda

Tutti gli ingredienti usati per questo piatto sono rigorosamente prodotti della Regione Lombardia
Ricetta per 4
Ingredienti per 16  baccelli
160 gr. farina 00
80 gr. farina di semola di grano duro rimacinata
120 gr.  crema di piselli freschi sgranati  di Miradolo terme
2 tuorli
1 uovo
1 cucchiaio di olio e.v.o. (http://www.cletus.it)
sale qb
30 minuti di riposo per la pasta fresca, avvolta nella pellicola trasparente per evitare che si secchi.

Ingredienti per il ripieno:
200 gr. di piselli freschi sgranati di Miradolo terme

50 gr. grana padano
1 scalogno
2 cucchiai di olio e.v.o. (http://www.cletus.it)
sale qb
pepe qb

Condimento per i baccelli
250 gr.  passata di pomodori ( Casalasco di Rivarolo del Re)
150 gr. funghi russole  (Monte Baldo del Garda)
1 spicchio di aglio
20 ml vino bianco Lugana
1 rametto di timo
10 gr capperi del lago di Garda
qb erba cipollina
buccia di ½ limone ( Limone del Garda )
Procedimento
Pasta all’uovo con piselli:
sgranare i piselli cuocerli in acqua salata per pochi minuti poi freddarli in acqua e ghiaccio.
Frullare e passarli al setaccio; ricavare una purea asciutta liscia senza bucce.
In una ciotola, mettere la farina,  al centro le uova con la crema di piselli, impastare per bene con le mani oppure con una planetaria fino a formare un panetto.
Fare riposare la pasta per circa mezz’ora avvolta nella pellicola.
Ripieno per i baccelli:
rosolare  con olio e.v.o. lo scalogno tritato finemente, aggiungere i piselli e lasciare insaporire per qualche minuto.
Frullare, non troppo, per modo che risultino un po’ granulosi; fare freddare poi in una ciotola unirli alla crescenza,  il grana, sale e pepe. Inserire in un Saca a poche con bocchetta da 1 cm. e tenere in frigorifero.
Ora stendere la pasta, con l’ausilio della macchinetta per la pasta oppure con il mattarello, quello che rimane più comodo, utilizzare il coppapasta a forma di baccello.  Stampare e su un lato del baccello farcire con ripieno
coprire con il corrispondente saldare i bordi col una leggera pressione delle dita.
Crema di pomodori:
Tritare finemente lo scalogno soffriggere leggermente nell’olio e.v.o., unire la passata di pomodoro, aggiungere i capperi e portare a cottura, infine salare.
A parte, in un padellino antiaderente, scaldare un cucchiaio di olio e.v.o. fare imbiondire uno spicchio di aglio in camicia e schiacciato; togliere l’aglio, tagliare  a cubetti regolari i funghi e versarli nel padellino ben caldo, rosolare, sfumare con  il vino bianco, aggiungere qualche fogliolina di timo e tenere da parte.
Cuocere i Baccelli in abbondante acqua salata.
Impiattare :
appoggiare un coppa pasta circolare di 15 cm. di diametro al centro del piatto, con un cucchiaio versare la crema ddi pomodoro a specchio, appoggiare a ventaglio i baccelli. Prendere i funghi e cospargerli in senso circolare intorno alla salsa, poi dell’erba cipollina tritata e una leggera grattugiata di buccia di limone non trattato.

N.B. La crema di pomodori può essere sostituita dalla peperonata, quando la stagione lo consente


27 marzo 2017

Grande Cucina 20 Stelle
4 giorni per assaggiare i capolavori dell’Alta Cucina italiana, incontrare i grandi chef, vivere le migliori esperienze del gusto
https://www.facebook.com/italiangourmet.it/

L’EVENTO DEGLI EVENTI

Le migliori eccellenze della Grande Cucina italiana al centro dell’evento più importante della Food Week di Milano.
18 tra i più importanti chef stellati italiani, tutti insieme per offrire un’esperienza unica. Un viaggio nel gusto italiano, la possibilità di assaggiare e portare a casa i grandissimi classici della nostra tradizione, reinterpretati da grandi maestri.
Un fitto programma di eventi, presentazioni, incontri, showcooking.
In partnership con Tutto Food di Fiera Milano.


 TEGAMINO GOURMET  - Tommaso Arrigoni ed Eros Picco
 Innocenti Evasioni – Milano

L’Idea
L’alta cucina creativa a Milano? Basta che sia un’innocente evasione!

A casa potrebbe essere un piatto ricavato da quel che è rimasto in frigorifero. Ma uno chef stellato, anzi due riescono a farlo diventare un capolavoro di eleganza senza dimenticare il sapore intenso che ti invita a non lasciarne neppure una goccia nel piatto

31 gennaio 2016

Costoletta alla Milanese





Costoletta di vitello alla milanese

(è il piatto ufficiale IDIC 17 Gennaio 2015)



INGREDIENTI
4 braciole di vitello, con le ossa, ( rib eye)
2 uova
125 gr (1 tazza) pangrattato
170 gr (3/4 di tazza o 6 once) burro chiarificato
METODO
1. Asciugare le braciole di vitello bene con carta da cucina. 


2. Aprire le uova in una ciotola e sbattere.
3. Posizionare le pangrattato in un'altra ciotola.
4. Immergere le costolette nell'uovo sbattuto, lasciando sgocciolare prima di mettere nel pangrattato. Rivestire la carne in tutte le sue parti. Pressare leggermente il pangrattato. Eventualmente ripetere l’operazione una seconda volta.
5. Far riposare in frigo per almeno 30 minuti.
6. Mettere il burro chiarificato in una padella a fuoco medio. Friggere le braciole, fino a doratura.

                               
Girare le costolette una volta e continuare a friggere fino a cottura per circa 6-8 minuti per lato.

                                                                 
7. Togliere dalla padella e mettere su una rastrelliera per far riposare la carne. Tamponarle con della carta da cucina per togliere l’eccesso di grasso.
8. Condire con sale e servire caldo con una fetta di limone, oppure con questo contorno
sfizioso.
Funghi chiodini e cipolline in agrodolce

Ingredienti per le cipolline
4 cucchiai  olio e.v.o.
500 gr cipolline bianche
50 gr zucchero semolato
50 gr aceto di vino bianco
1 tazza di acqua
Sale e pepe a piacere

Ingredienti per i Chiodini
600 gr funghi chiodini
50 gr vino bianco
4 Olio e
.v.o.
2 aglio (spicchi)
1 mazzetto prezzemolo
q.b. sale
q.b. pepe
1 rametto rosmarino
Cipolline in agrodolce

Esecuzione:
in una grande, casseruola fondo pesante, unire tutti gli ingredienti, coprire e portare a ebollizione. Ridurre lentamente a ebollizione e cuocere 40 minuti, agitando la padella occasionalmente modo che le cipolle non si attacchino al fondo della padella. Le cipolle devono essere facilmente penetrate con un coltello da cucina, ma non dovrebbero disfarsi a pezzi.
Togliere il coperchio e continuare a cuocere fino a quando il liquido è evaporato e le cipolle sono lucide e di colore marrone scuro dorato, facendo attenzione a non bruciarle. Togliere dal fuoco e tenere al caldo.
Nel frattempo avremo
staccato i funghi chiodini singolarmente, eliminare quelli danneggiati e con un coltello affilato recidere la parte di gambo dura, coriacea e legnosa. Quindi pulire i funghi eliminando la parte terrosa, passandoli velocemente sotto l’acqua corrente fredda e asciugarli con un telo.


In una casseruola possibilmente di rame scaldare l'olio con due spicchio d'aglio sbucciati e schiacciati, aggiungere i funghi e il rametto di rosmarino e cuocere a fuoco vivace saltare per 2 min. spruzzare con il vino, fare evaporare e abbassando il fuoco cuocere per 10 min., mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno fino a fare asciugare l'acqua di vegetazione. Se necessario aggiungere un po’ d’acqua per completare la cottura. A cottura ultimata, insaporite i funghi con un pizzico di sale e un poco di pepe, cospargeteli con il prezzemolo lavato e tritato. 

Serviteli accompagnandoli, alle cipolline, a parte delle fette di pane tostate.

   costoletta alla Milanese ( ricetta da G
 Pasta)





Nel giorno, 17 gennaio 2016, Giorgio Maria Pastafiglia partecipa
all’International Day of Italian Cuisines: IDIC. Promosso dal Gruppo Virtuale Cuochi Italiani nel mondo.
Gio’ Pasta, per gli amici gourmand, nella veste di food designer, illustra con la sua creazione a celebrare il
piatto ambrosiano, dalla fragrante veste dorata: la “Costoletta alla Milanese”. Oltre agli associati, entrano a far parte dell’evento, altri protagonisti, entrando a scena aperta con la loro vena creativa e inventiva. Questo lo vedremo in seguito.



La Giornata Internazionale delle Cucine Italiane IDIC è nato come reazione contro la contraffazione sistematica della cucina e dei prodotti italiani. Essa mira a tutelare il diritto dei consumatori di tutto il mondo per ottenere la cucina italiana autentica e di qualità quando vanno a ristoranti etichettati come "italiani". Migliaia di cuochi, ristoratori e amanti della cucina italiana in tutto il mondo si uniscono all'appello, IDIC annuale, una tradizione ora, lanciato
 http://idic.itchefs-gvci.com
(Gruppo Virtuale Cuochi Italiani), un network di oltre 1900 professionisti culinari che lavorano in 70 paesi. La vera cucina italiana fa parte del patrimonio culturale mondiale; la sua celebrazione non è contro la creatività in cucina o l'innovazione. E 'solo di stabilire alcuni principi di base: quando si utilizza il nome di un piatto tradizionale italiano, quel piatto dovrebbe essere redatto in modo tradizionale.


L'affascinante storia di un piatto che è un capolavoro della gastronomia
(Se fatto sacondo la tradizione autentica)

da Rosario Scarpato


Lombolos cum panitio
Le origini del costoletta alla milanese sono radicati in quella Lombolos cum panitio, cioè, impanati e fritti costolette di vitello, offerto dal abate di Sant'Ambrogio a Milano, nel lontano 17 settembre,1134. Ambrogio, Vescovo e romana Console, era ed è il santo patrono della città e quel giorno era la festa di San Satiro, il fratello. Come Pietro Verri scrive nella sua Storia di Milano, il piatto è apparso nel menù del banchetto di nove corsi offerti ai canoni della chiesa per l'occasione.

                                       "Janvier, Très riches heures du Duc de Berry", libro d'ore


La panatura e marrone dorato frittura, come una cucina tecnica, ha una lunga storia in Italia, forse anche grazie al mito che circonda l'uso dell'oro in cucina. I medici durante il medioevo, per esempio, convinto che l'oro era la migliore terapia contro le malattie cardiache, suggerito per rivestire i piatti con la polvere di questo metallo prezioso. Un rimedio molto costoso anzi, disponibile solo nelle cucine dei re e dei pochi mortali più fortunati. Che dire di tutti gli altri allora? Ebbene, evidentemente, hanno dovuto fare con il colore dell'oro. Questo è stato forse una delle cause della panatura diffusa e frittura dorata tecnica marrone. Non a caso, Martino de Rossi, alias Maestro Martino da Como, la prima "celebrity chef" nella storia secondo Wikipedia, era preoccupato per il "colorito", quando ha dato le sue istruzioni dettagliate su come il pane dei lombolos, che erano ancora cotto allo spiedo duro. Nel1492, lo stesso anno in cui Colombo scoprì l'America, egli li ha inseriti nel suo De Arte Coquinaria, raccomandando cuocere lentamente la carne, che era ancora lontano per essere chiamato costoletta o cotoletta.
La prima menzione di cotelètta, dal dialetto cutelèta milanesi, appare solo nel 1814, nel Milanese-Italiano dizionario scritto da Francesco Cherubini e pubblicato dal celebre stampatore Imperiale Regia Stamperia a Milano. Si chiama cotoletta ma si riferisce chiaramente alla costoletta perché il nome ha una chiara origine francese. Viene da côte o côtelette, un pezzo di carne di vitello dalla costola, con l'osso, che in italiano corrisponde a costa, costola o costoletta.
Infatti, impanati e fritti marroni côtelettes dorate sono apparsi in francese libri di cucina a partire dall'inizio del 18 ° secolo, tra cui il fondamentale "La scienza du maitre d'albergo", 1749. Storico Cibo Massimo Alberini, l'ex presidente della Accademia della Cucina Italiana, indicò in un articolo e ha ricordato che quando questi côtelettes arrivati ​​in Italia, agli inizi del 19 ° secolo, sono stati chiamati in Italia"(cotolette Rivoluzione francese). La cotoletta della rivoluzione però doveva essere marinato al burro fuso con sale, pepe, chiodi di garofano e erbe aromatiche e poi passare attraverso il rivestimento tripla: farina, uova sbattute e pangrattato, prima di essere fritto. In altre parole, un metodo (e alcuni ingredienti pure) molto diverse dalla prima ricetta di costoletta alla milanese mai pubblicati, che apparve nel 1855a Gastronomia Moderna (Modern Gastronomia), un libro scritto da Giuseppe Sorbiatti. La ricetta è stata intitolata come "costoline di vitello fritte alla milanese" (vitello fritta piccoli cotolette): costoline o Costolette in italiano sono più o meno la stessa cosa. Il metodo richiede che le costole sono immersi in uova sbattute, ricoperto di pangrattato e marrone dorato fritto nel burro. L'autore raccomanda un friggere lento, a fuoco moderato (fuoco lento). Egli usa la parola "biondo calor (calore letteralmente biondi), e "soffriggere a fuoco lento "per dare l'idea di come deve essere il processo. "Soffriggere" "in questo caso può essere facilmente tradotto in inglese come al marrone. Non vi è alcun burro ancora chiarito, che doveva essere usato in una fase successiva in quanto ha un punto di fumo alto ed è particolarmente opportuno in cottura professionale. La ricetta di Sorbiatti consiglia di servire la carne con il burro fuso in cui era stata preparata, oltre a spicchi di limone.
Moderno Gastronomia, Giuseppe Sorbiatti
Cotoletta o costoletta? Come abbiamo visto in precedenza, nel caso del Milanese dialetto le parole si riferiscono alla stessa ricetta. Ecco perché in libri di cucina e letteratura gastronomica è possibile trovare entrambi i termini. Ada Boni a Il talismano della felicità 'e Fernanda Gosetti (In Cucina con Fernanda Gosetti) chiamano Costoletta. Appare invece come Cotoletta a La Cucina d'Oro (La cucina d'oro) di Giovanni Nuvoletti Perdomini e La Cucina Nazionale Italiana (La Cucina Nazionale Italiana) di Allan Bay e Paola Salvatori. Scrittore cibo Ottorina Perna Bozzi chiama Costoletta nel suo La Lombardia in cucina (Lombardia in cucina) e Cotoletta a Vecchia Milano in Cucina (vecchia Milano in cucina). Per questo motivo, il 17 Marzo, 2008 la dichiarazione del Comune di Milano di costoletta alla milanese come De.Co. -Denominazione Comunale (una sorta di denominazione comunale controllata) è venuto come un sollievo. Il protocollo della De.Co. fornisce le linee guida per un autentico costoletta alla milanese.




Tornando a tempi abbastanza recenti, nel 1963, esattamente come ci erudisce Alessandro Marzo Magno nel suo articolo su Food24; “con una sorta di manovra a tenaglia”, il settimanale “Die Zeit” in quell’anno pubblicava un articolo dal titolo «I menù degli Asburgo» e scrive: «Mentre Radetzky esercitava il suo comando nell’Italia settentrionale, informò Vienna che a Milano si impanavano le cotolette di vitello in modo assai appetitoso.
L’Italia andò poi perduta, ma ai viennesi fu regalata la Schnitzel, una diversa specie di costoletta milanese»

Dice sempre Manzo Magno; nel medesimo 1963 esce in Italia “La cucina lombarda”, libro firmato da Felice Cùnsolo un giornalista siciliano trapiantato a Milano e divenuto convinto cantore della cucina meneghina. Qualcuno doveva essersi sognato di dire che la cotoletta aveva fatto il percorso inverso: da Vienna a Milano. Sia ben chiaro, la teoria è plausibile quanto l’altra, i cuochi dei dignitari austriaci avrebbero in effetti potuto insegnare qualche loro specialità ai colleghi milanesi. Solo che, come nell’altro caso, non c’è alcuna prova che sia accaduto.
Comunque Cùnsolo si sente offeso nel profondo dell’animo e nel libro apre il fuoco: «Per anni e anni alcuni esterofili impenitenti si sono affannati ad attribuire l’invenzione della famosa costoletta a cuochi viennesi. Chi cercava di difendere il merito ambrosiano, non disponendo di prove, sciupava fiato e parole». E invece, ecco che Cùnsolo cala l’asso: «Una fortuita scoperta fatta da studiosi austriaci è venuta di recente a riconoscere in modo lampante la priorità meneghina. Il Wiener Schnitzel non è padre, ma figlio della cotoletta. 







 GUALTIERO MARCHESI
Udite !...Udite!...s’odono squilli di tromba !....Arriva il grande Maestro!, Il Contemporaneo chef italiano Gualtiero Marchesi, che ha sfidato, i suoi clienti, con la sua propria versione di costoletta alla milanese, spingendosi oltre. Ai tempi di via Bonvesin della Riva, racconta: “Facevo la costoletta alta quanto l’osso, è l’unico piatto che ho imparato da mio padre. Ma la gente spesso non capiva, non sapeva che deve essere fuori croccante e dentro rosata, così restano intatti i succhi della carne e il sapore.
Si lamentavano che non era cotta. Allora decisi di tagliare la carne a cubetti di pochi centimetri, uno dei quali con l’osso attaccato. Così, cotti per immersione nel burro chiarificato, arrivavano belli dorati in tavola, e nessuno osò più dire niente”. In qualche caso, i cubetti venivano ricomposti nel piatto a formare il piatto tradizionale.
Egli non ha cambiato il metodo, ma solo servito il taglio costoletta a dadini quadrati di 2,5 cm, fritti individualmente con l'osso, con ancora un po' di carne attaccata. In questo modo, ogni boccone è individualmente  rosolato e deliziosamente croccante.


(cotoletta alla milanese dello chef Gualtiero Marchesi, con costoletta di vitello) 



“LA MILANO SBAGLIATA”

Carlo Cracco allievo del maestro Gualtiero Marchesi suona le campane !....Con una iconica ricetta “La Milano Sbagliata”, una rivisitazione della cotoletta alla milanese. Cracco racconta, di aver pensato a questo piatto, perché spesso la panatura della cotoletta, magari preparata prima, e, poi, riscaldata al momento di servirla, si stacca dalla cotoletta; quindi, perché non presentarla direttamente staccata dalla fettina di carne, che sarà servita cruda con una fettina di limone. Una ironica ricetta, per esaltare il gusto della carne.


INGREDIENTI
Per 4 persone
100 g pan carré
Uova intere
4 fette di carne di fassona battuta (ciascuna del peso di 15 g)
400 g burro chiarificato
100 g olio di oliva
1 limone
Carta da forno
PROCEDIMENTO
Frullare il pane per l’impanatura. Ritagliare la carta da forno ricavando dei rettangoli di circa 8x5 cm.
Sbattere le uova, passare solo un lato della carta da forno con l’uovo e successivamente passarlo nel pane. Ripetere due volte l’operazione.
Friggere la panatura ottenuta in olio di oliva e burro chiarificato. Una volta fritta, rifilarla con un coltello per darle nuovamente la forma rettangolare.
Salare la panatura e la carne. Posizionare la panatura al centro del piatto, adagiarvi sopra la carne battuta e terminare con una grattugiata di scorza di limone.

                         “L’ORECCHIA DI ELEFANTE”
LA COTOLETTA PIU' GRANDE AL MONDO!! di Chicco Cerea, tre stelle Michelin. 


La cotoletta ( costoletta aggiungo io) è doppia rispetto a quelle più grandi a cui uno può essere abituato. Nell’immagine in questione sono addirittura due affiancate sul tagliere di servizio.
La sua mitica orecchia d'elefante, di pura razza fassone, pesa circa 2,5 kg ed è una interpretazione del piatto più tipico e riprodotto della tradizione meneghina. Cerea illustra in http://www.altissimoceto.it,tutto il percorso che va dalla scelta e dal taglio della carne, fino all'impanatura, realizzata con pane e grissini, alla cottura nel burro chiarificato e al condimento.
   The 5 Best Places to Eat Milan’s Favorite Meal
Dove andare a mangiare
Stefano Tripodi per il  “WALL STREET JOURNAL”  
http://www.wsj.com/articles/the-5-best-places-to-eat-milans-favorite-meal-1444244844 

fornisce una  mappa in giro per la città Milanese dove poter degustare il famoso piatto della tradizione Meneghina e, a leggere bene, ci presenta, una su tutte, che ribalta la tradizione.
Scrive: s
ottile, deliziosa cotoletta, con osso, " Da Martino”,



è raffigurata qui condita con rucola e pomodorini che sono stati marinati in aglio e origano. Il tradizionalista vi dirà, questa cotoletta è abbastanza buona per stare da sola, senza il condimento, ma c'è poco che è di tradizionale in questo piatto: E' fatta con carne di maiale, piuttosto che di vitello, è fritta in olio, piuttosto che con il burro, per far si che il piatto  non risulti essere troppo pesante. STEFANO TRIPODI PER IL WALL STREET JOURNAL.




              “GIORNO DI RINGRAZIAMENTO”



Per finire, Paolo Marchi, ideatore e curatore dal 2004 di  “ Identità golose” http://www.identitagolose.it/sito/it/41/13753/primo-piano/il-cotoletta-day-tra-storia-e-miti.html?p=0 ci invita ad una sorta di “giorno di ringraziamento” del made in Italy, che ha come sua roccaforte l’Hotel LaGare del capoluogo lombardo e come arena il globo intero. Grazie anche a una serie di collegamenti video in diretta con i diversi angoli del Pianeta. Mentre a tener alta la bandiera tricolore sono una serie di chef, pronti a far focus sulla costoletta, sui possibili contorni e sui piacevoli abbinamenti enologici (e non solo): da Andrea Aprea a Claudio Sadler, da Tommaso Arrigoni a Tano Simonato, passando per Enrico Bartolini, Felice Lo Basso, Nicola Cavallaro, Matteo Scibilia e Marino D’Antonio (della pechinese Opera Bombana). Non dimenticando Marco Sacco (inviato speciale dal ristorante Isola di Honk Kong) due sopraffini macellai quali Simone Fracassi e Alberto Masseroni, il presidente di Euro Toques Italia Enrico Derflingher e il presidente della Federazione Italiana Cuochi Rocco Pozzulo. 

Evviva la cutelèta !!

18 gennaio 2015

Parmigiana di melanzane 
(è il piatto ufficiale IDIC 17 Gennaio 2015)

Migliaia di cuochi, ristoratori e amanti della cucina italiana in tutto il mondo si uniscono all'appello IDIC annuale, una tradizione ora, lanciato da itchefs-GVCI (Gruppo Virtuale Cuochi Italiani), un network di oltre 1900 professionisti culinari che lavorano in 70 paesi . La vera cucina italiana fa parte del patrimonio culturale mondiale; la sua celebrazione non è contro la creatività in cucina o l'innovazione. Si tratta di stabilire alcuni principi di base: quando si utilizza il nome di un piatto tradizionale italiano, quel piatto deve essere preparato in modo tradizionale .


Parmigiana di melanzane, diventa il piatto ufficiale del 9°Giornata Internazionale delle Cucine Italiane nel Mondo Il piatto nacque nel meridione d’Italia e si diffuse a Napoli e Campania, Calabria e Sicilia. Negli ultimi decenni, tuttavia, il piatto è diventato sempre più popolare anche nel resto d'Italia e in tutto il mondo, grazie al boom di ristoranti italiani con cuochi formati in Italia. 
Nei ricettari italiani dei secoli scorsi ci sono numerose segnalazioni di piatti preparati a la Parmigiana (stile parmigiano), che però non sembrano avere una chiara e coerente comune denominatore, e in ogni caso, non hanno nulla a che fare con la Parmigiana di melanzane.


Nella confusione, l’amico Eugenio Medagliani, Gastronomo e mitico “calderaro umanista” milanese, chiarisce alcuni passaggi circa le origini di questo piatto.

Parmigiana palmigiana parmisciana palmisciana parmiciana di melanzane ? Questo è il dilemma.
Si legge sulla “ Grande enciclopedia illustrata della gastronomia “ selezione dal Reader’s Digest :
“ alla parmigiana “ teoricamente questo termine dovrebbe significare cucinato alla maniera di Parma, in realtà per lo più si applicherebbe a molte preparazioni che con la cucina parmense hanno relazioni lontane o nulle. Questo è dovuto al prodotto alimentare forse più noto di questa provincia il - formaggio parmigiano- perciò la maggior parte delle ricette che si dicono “ alla parmigiana “ andrebbero chiamate per correttezze “ al parmigiano “ o meglio ancora “ con il parmigiano “.
Parmigiana: è una preparazione tipica di alcune regioni dell’Italia meridionale, che si fa di solito con melanzane, ma anche con le zucchine, tagliate a fette sottili e disposte accavallate nella tortiera; si ritiene che il nome derivi dall’impiego nella ricetta del formaggio parmigiano. E’ esatta questa convinzione?


 
La melanzana, Solanum melongena: è il frutto, anzi la bacca, di una pianta orticola originaria della Cina e dell’India, coltivata soprattutto nel meridione d’Italia. Il nome deriva dall’arabo bâdingiân ( che è divenuto alberjnia in catalano e aubergine in francese ) preceduto dalla parola “ mela “ che l’italiano medievale spesso premetteva ai nomi stranieri di frutta e verdura ( ad esempio melagrana, melarancia, melangolo, melacotogna, melarosa ).




La melanzana è una solanacea, il cui membro più pericoloso è la belladonna, ed è quindi cugina delle patate: i frutti, anzi le bacche della melanzana sono amarognole e, a non saperle preparare come si deve, non convincono nessuno.

Si legge in Hermolao Barbaro ( umanista: Venezia 1454 – Roma 1493 ) 



aversi creduto che quei pomi, che si chiamano in Lombardia melanzane e in Toscana petranciani, fossero i frutti di una terza specie di mandragora” solanacea usata come medicinale ed anche impiegata in stregonerie per il possesso di speciali virtù.



Come tutte le solanacee (patate, pomodori ecc.) anche la melanzana contiene solanina, alcaloide che fa parte di un gruppo di composti vegetali potenti e tossici che contengono nicotina, chinino, cocaina e morfina, presenti in piccole quantità sotto la buccia, e in maggior parte nelle foglie e nei fusti.Ne “ L’economia del cittadino in villa “ di Vincenzo Tanara ( Bologna MDCXLIV ) si legge nel libro quarto: “ sono li melanzani, quasi mala insana, perché mangiati, turbando la mente, fanno quasi impazzire” ( forse a causa dell’alcaloide solanina ?)



Nei Discorsi del Matthioli, medico senese dello XVI secolo leggiamo che “ quei pomi, che si chiamano in Lombardia melanzane, più presto da nominare ( come io penso ) Mele insane, le quali noi chiamiamo Petranciani…usansi in Italia di mangiare questi frutti per provocare à lussuria, il che fanno agevolmente per essere duri da digerire e imperò l’usarli troppo ne cibi, generano (come dice Avicenna) humori malinconici, oppilationi, cancari, lepra, dolor di testa, tristezze…ma le lodò nel suo libro Averroe per cibo aggradevole, e buono quando si preparano come egli ne insegna. Da questa lettura nasce la definizione dello Scappi di “ Molignana cioè pomo sdegnoso “.


Pellegrino Artusi, quando nel 1891 pubblicava il suo celebre libro, lamentava che a Firenze le melanzane, che lui chiamava petonciani “ erano tenuti a vile, come cibo da ebrei “; non si può però negare nell’Artusi o meglio nei fiorentini sudditi del granduca, una tendenza all’antisemitismo alimentare. Nella sua ricetta: Tortino di petonciani “ le fette di melanzane sono ricoperte “ suolo per suolo “di salsa di pomodoro, parmigiano grattugiato, pangrattato e uovo sbattuto.



Nel Cap. CCXXIX del terzo libro de l’Opera de l’arte del cucinare, Bartolomeo Scappi insegna a : “Sottestare Molignane cioè pomi sdegnosi: si taglino in più pezzi per lungo…faccianosi stare in mollo per meza hora e poco sale, cavìnosi, fascìnosi scolar bene sopra una tavola…facciasi un suolo di essi pezzi nella tortiera, e habbisi menta, maiorana, pimpinella…pepe, garofani, cannella..(ecc)..se ne faranno due o tre suoli facendoli cuocere nel modo che si cuoceno le torte..e se non sarà giorno di vigilia si tramezzeranno di fette di provatura o di cascio e pangrattato” niente parmigiano.





Jeanne Carola Francescani ne “ La cucina napoletana” scrive :” un’altra gloria della cucina napoletana, è la parmigiana. Pochi elementari sapori che si completano, ed ecco un piatto squisito, saporito ed appetitoso, che bene si addice all’estate. La parmigiana ha due secoli di vita, e forse più: ne parla già il Corrado, pur condendola con sugo di carne, e ne parla il Cavalcanti dandone la ricetta con o senza pomodoro….Sotto altro nome e ovviamente priva di mozzarella, la nostra parmigiana fa anche parte della gastronomia provenzale ed è una delle tante similitudini fra questa cucina e la nostra”.

Mario Stefanile, raffinato cultore e storico della cucina napoletana, avverte che “ alla parmigiana “ è chiamata qualunque preparazione d’ortaggi disposta a strati in un ruoto ( tortiera) con l’aggiunta di
farcia e salsa di pomodoro. 


Nelle varie ricette di parmigiane del XVIII e XXIX secolo si è soliti utilizzare il formaggio omonimo.




Invece nel Cibo pitagorico ( 1781 ) Vincenzo Corrado propone diverse ricette di : Petronciane all’italiana – alla Monaca – alla Mora – farsite alli golosi – in cui le melanzane sono “ tramezzate “ con cacio o provatura ( formaggio a pasta filata di latte di bufala consumato fresco o grattugiato dopo breve stagionatura); di parmigiano nessuna notizia.


   
Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nel suo ricettario del 1837, così descrive la preparazione de le “ Molignane a la Parmisciana : Pigliarraje chelle belle malignane nere, ne levarraje la scorza, e le farraje a fell’a della, po l’acconciarraje ncopp’a na tavola a solare a solare, nce mettarraje lo sale, e no murtaro coppa pe li ffa sculà, dopo le spriemmarraje, e le farraje fritte; e po le l’acconciarraje dint’a no ruoto a felaro a felaro ( leggermente accavallate ? ) co lo caso, ( cacio o provatura )vasenecola (basilico) , e brodo de stufato, o co la sauza de pommadore; e co lo testo ncoppa le faraje stufà “. Nella ricetta il Cavalcanti non cita formaggio Parmigiano ma un cacio generico, probabilmente mozzarella, definendo la pietanza “a la Parmisciana” cioè alla moda di Parma e non con formaggio Parmigiano.


Sembra che la melanzana sia giunta nella cucina di Parma con la presenza del cuoco palermitano Carlo Nascia, assunto il 4 agosto del 1650 alla corte del Duca Ranuccio II Farnese, ma nel suo libro non c’è traccia di questo piatto.
E’ anche difficile spiegare, in sede storica, lo sviscerato amore dei siciliani per quest’ortaggio originario dell’Asia importato in Europa nel 1200 dove fu considerato, come altre piante provenienti dall’oriente, solo a scopo ornamentale, il suo nome “mela insana “ fa intendere con quale sospetto fosse considerato da un punto di vista alimentare. La melanzana probabilmente fu introdotta in Sicilia dagli spagnoli durante la conquista dell’isola.
Perché chiamare questa pietanza Parmigiana di melanzane, dal momento che all’origine si impiegava in Sicilia, come condimento, cacio locale: mozzarella e provatura invece del parmigiano?
Incominciai a supporre che il termine parmigiana parmisciana non derivasse dalla città di Parma, ma dalla disposizione delle fette di melanzane, leggermente sovrapposte una sull’altra, per impedire alla ricca salsa di raccogliersi sul fondo della tortiera.
Un aiuto determinante e decisivo mi giunse dall’omonimo cugino di Enzo lo Scalco ( consigliere dell’Ordine dei Medici della provincia di Agrigento ) che mi confermò con “ palmisciana parmisciana “ si potrebbe chiamare, in dialetto siciliano ( agrigentino e d’altre province della Sicilia occidentale ) il serramento esterno (scuro) della finestra, che serve ad attenuare l’illuminazione permettendo il passaggio dell’aria, e non della luce, costituito da listerelle di legno o di lamine di plastica come nelle veneziane.


La confusione tra elle e erre può essere causata dal fatto che in siciliano vi siano alcuni suoni che in italiano non esistono. R e L quando sono seguite da una consonante occlusiva (1) assumono un suono praticamente identico, tipico del palermitano ( Palemmo (Palermo) – Follì (Forlì)– cùolpu o cùorpu (corpo)- àrbulu o albulu (albero)…e che non trova corrispondenza in altri dialetti o lingue).
Si è soliti indicare quest’ infisso o serramento con il nome di persiana, femminile sostantivato dell’aggettivo “ di Persia “ perché diffuso specialmente nei paesi orientali, ed entrato in uso per convenienza nei paesi costieri del sud Europa. Nell’Italia settentrionale appare anche il nome di gelosia dall’evidente significato
Si può supporre che la parola parmisciana sia la modifica di palmisciana o palmigiana, ( r = l ) termine che potrebbe derivare da palmo (della mano), e che palmigiano sia l’atto che si fa ponendo il palmo aperto sulla fronte per difendere gli occhi dai raggi del sole, come avviene con le persiane.
Mi chiedo: cosa c’entrerebbe il nome di un serramento con un piatto di cucina regionale meridionale? Penso che il nome possa derivare dalla disposizione accavallata delle fette nella preparazione della parmigiana di melanzane, come avviene per le listerelle delle persiane, delle gelosie e delle veneziane. (1) occlusivo : suono che si articola mediante una chiusura completa del condotto orale esempio b (bilabiali) – t e d ( dentali ) – e g (velari ) – e l (semivocali) vibrante retroflessa – L liquida alveolodentale)
Eugenio Medagliani





Parmigiana di melanzane
(Giorgio Pasta IDIC 17 Gennaio 2015)


Ingredienti per 4 persone
500 g melanzane medie rotonde
200 g pomodoro fresco San Marzano
200 g mozzarella di bufala
80 g parmigiano grattugiato
basilico 10 foglie
1 spicchio aglio
30 ml olio evo
sale
pepe
Per la frittura
500 ml di olio di semi di arachide

Preparazione
Soffriggere per qualche minuto nell’olio evo uno spicchio d’aglio privato dell’anima, facendo attenzione a non bruciarlo. Eliminare l’aglio. Aggiungere il pomodoro spellato, senza semi e cuocere a fuoco molto dolce per 15 minuti, regolando di sale e pepe; verso fine cottura aggiungere metà del basilico. Affettare le melanzane con la mandolina o l’affettatrice a spessore di 4 mm circa. Friggere in olio di semi di arachide a 170 °c. Adagiarle su carta assorbente e salare mentre sono ancora calde. A fine cottura del pomodoro aggiungere le restanti foglie di basilico spezzettate con le mani, conservando 4 belle cimette per la guarnizione. Tagliare a fettine la mozzarella di bufala. Mettere 4 coppapasta diametro 8 cm circa di diametro su una placca rivestita di carta forno e riempire a strati con fette di melanzana fritte, salsa al pomodoro, mozzarella di bufala, basilico e parmigiano grattugiato, fino all’ultimo strato. Infornate a 200 °c e lasciate gratinare in superficie; rimuovere il coppapasta, guarnire con le punte di basilico fresco e servire.